Il 5 marzo 1944 Leone GINZBURG muore a Roma nel carcere di Regina Coeli a causa delle torture subite ad opera dei nazisti, che inutilmente avevano tentato di farlo parlare. Era stato arrestato l'anno prima in via Basento, nella tipografia clandestina di "Italia Libera", dove oggi c'è questa lapide: «Un agguato poliziesco/nella tipografia/de "l’Italia Libera"/strappava alla lotta clandestina/Leone Ginzburg/italiano/per passioni di risorgimento/europeo/di pensiero e d’ideali/era nato ad Odessa il IV.IV.MCMIX/morì a Regina Coeli/vittima del terrore nazista/il V.II.MCMXLIV/viva la sua memoria/nel cuore di chi spera e/combatte/per una giusta libertà».
Leone Ginzburg era nato nel 1909 a Odessa da una famiglia ebrea ucraina, poi trasferitasi a Torino. Giovanissimo docente di letteratura russa, nel 1934 fu estromesso dall'Università per essersi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al regime. Antifascista di "Giustizia e libertà", fu in carcere dal 1934 al 1936. Nel 1938 sposò la ventiduenne Natalia Levi [la futura scrittrice Natalia Ginzburg- vedi l'immagine]. Fu tra i fondatori della Casa Editrice Einaudi. Nel 1938, per le leggi razziali, fu privato della cittadinanza italiana; perciò dal 1940 al 1943 fu costretto al confino in un paese dell'Abruzzo, con la moglie e i figli, come "internato civile di guerra". Nel 1943 fu impegnato nella Resistenza clandestina a Roma, fino al suo arresto e alla sua morte a Regina Coeli.
Qualche mese dopo la sua morte, la moglie Natalia (rimasta sola con tre figli piccoli) scrisse in sua memoria questa poesia (pubblicata nel dicembre 1944 nella rivista "Mercurio").
Gli uomini vanno e vengono
per le strade della citta'
Comprano libri e giornali,
muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso,
le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo
per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo
con un gesto consueto.
Ma era l'ultima volta.
Era il viso consueto,
solo un poco piu' stanco.
E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre.
E le mani erano quelle che
spezzavano il pane e
versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo
che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso
per l'ultima volta.
Se cammini per strada
nessuno ti è accanto
Se hai paura
nessuno ti prende per mano
E non è tua la strada,
non è tua la città.
Non è tua la città
illuminata. La città
illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno
e vengono comprando
cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco
alla quieta finestra
a guardare il silenzio,
il giardino nel buio.
Allora quando piangevi
c'era la sua voce serena.
Allora quando ridevi
c'era il suo riso sommesso.
Ma il cancello che a sera
s'apriva, restera' chiuso
per sempre, e deserta
è la tua giovinezza.
Spento il fuoco,
vuota la casa.