In memoria di Luis Sepulveda, uno di noi. Luis, ti ho voluto bene come un fratello maggiore che incontri lungo la vita, uno che con una parola esprime il dolore del mondo e la sua memoria. Ti lascio con la straordinaria testimonianza che mi avevi donato nel mio libro "Una generazione scomparsa, i mondiali in Argentina del 1978". Ciao Luis Sepúlveda Luis Sepúlveda è scrittore, poeta, sceneggiatore, regista e molto altro ancora. Soprattutto è una persona che lavora da sempre sulla memoria viva. Sepúlveda lascia il Cile dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 del generale Augusto Pinochet. Poi viaggia in America Latina e nel resto del mondo, anche al seguito degli equipaggi delle navi di Greenpeace. Sepúlveda conquista la scena letteraria con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, uscito in Spagna nel 1989 e in Italia nel 1993. Da allora non si è più fermato: pubblica numerosi romanzi, raccolte di libri di viaggio e di racconti, tra i quali Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, uno dei libri più letti degli ultimi anni. È molto apprezzato dai lettori italiani. Risiede in Spagna, nelle Asturie. Luis, tu hai fatto parte per pochi mesi del Gap, il gruppo scelto per difendere il presidente cileno Salvador Allende. Cosa ricordi di quelle straordinarie persone che sono state accanto ad Allende fino alla fine, nelle ore del golpe di Pinochet e dell’attacco al palazzo della Moneda? «Di tutti coloro che hanno avuto l’onore di appartenere al Gap ho un ricordo pieno di emozione e di orgoglio. Eravamo molto giovani quando abbiamo accettato la missione di garantire la sicurezza del presidente Allende. In molti eravamo studenti e lavoratori, militanti dei giovani socialisti. A volte, ci riuniamo per celebrare anche i nostri ideali. La vita è proseguita, abbiamo figli, nipoti e ci unisce la stessa convinzione di quegli anni: la certezza che, se dovessimo tornare nel 1970, faremmo esatta- mente le stesse scelte. L’anno scorso in un ospedale di Cuba è morto “Eladio”, uno dei 16 Gap che hanno combattuto al fianco di Allende a La Moneda. È morto a Cuba, perché il Cile non aveva mezzi per le cure mediche, perché la sanità cilena è privata. Ogni anno, “Eladio” ci organizzava la visita al mausoleo di Allende, e alla fossa comune dove si trovano molti dei nostri coetanei. L’unico ricordo di quei giorni è l’orgoglio del valore dei miei colleghi, della loro fedeltà e coerenza, che manteniamo ancora, come tributo alla memoria di Allende». La storia della loro morte terribile è approdata anche nelle aule giudiziarie italiane. Uno dei responsabili di quella strage è stato con- dannato nel processo sulla morte di 23 cittadini italiani uccisi nel quadro del cosiddetto Plan Condor. Perché questa giustizia tardiva? Quali complicità ci sono ancora da scoprire? «La giustizia italiana ha impiegato molto tempo per perseguire i criminali responsabili della Operazione Condor. Non tutti sono stati condannati, solo alcuni, perché il lavoro era estremamente difficile. Non tutti erano disposti a testimoniare. I governi di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Brasile, hanno messo numerosi paletti legali ai giudici italiani, soprattutto nell’accesso alle informazioni. Non so se si può par- lare di complicità ancora da scoprire, ma è chiaro che in Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Brasile, indulti e amnistie hanno reso difficile l’accertamento della verità. Per esempio, si è evitato il ricorso al Tribunale penale internazionale per le violazioni dei diritti umani che poteva giudicare i criminali. Ma almeno c’erano i processi in Italia, più simbolici che reali, e ci sono state condanne». Pensi che ancora valga la pena raccontare storie come queste? Significa fare memoria viva, non memoria del passato ma memoria di oggi. Sei d’accordo? «Ho sempre creduto e sono convinto che sia importante preservare la memoria storica: è una questione critica per evitare che la storia si ripeta. Come scrittore insisto a narrare attraverso la finzione ciò che la storia ufficiale non racconta. Lo vivo come un dovere. E io proseguo in questa direzione». Come la racconteresti a un ragazzo di oggi la storia di persone che vanno a morire per difendere una idea come quel progetto coraggioso e alto di Allende? «Quei giorni, quegli anni, li ricordo come intensamente felici. Perché essere disposti a dare tutto per una giusta causa, anche se sei molto giovane, è qualcosa che ti offre la migliore ragione per vivere. E ti rende contento, onesto, generoso, intelligente per quella coesistenza creativa. Non c’è nulla di triste o patetico di come eravamo noi giovani degli anni Sessanta e Settanta. Siamo stati normali giovani atleti, ci è piaciuto il rock, le feste, i balli, ma nella partecipazione sociale eravamo seri e abbiamo dato tutto. Questo ci permette di essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto, è il nostro contributo per rendere la società più giusta e libera. È vero, siamo stati sconfitti, ma la nostra vocazione per la giustizia sociale rimane intatta, invariata». "Una generazione scomparsa" Daniele Biacchessi Editoriale Jaca Book Jaca Book
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