lunedì 11 agosto 2025
domenica 10 agosto 2025
STEFANO MANCUSO: L' INTELLIGENZA DELLE PIANTE
Stefano Mancuso è un neuroscienziato e saggista italiano, nato a Catanzaro nel 1965, considerato il pioniere della neurobiologia vegetale, una disciplina che esplora come le piante, pur senza cervello o sistema nervoso, sono capaci di intelligenza, comunicazione e comportamenti complessi. Oltre a insegnare all'Università di Firenze, ha fondato una start-up dedicata alla biomimesi delle piante e ha collaborato a progetti innovativi come Plantoïd, un robot ispirato alle radici. I suoi libri, pluripremiati e divulgativi, hanno avvicinato un vasto pubblico alla scoperta di un mondo vegetale ricco di vita e risorse intelligenti.
Secondo Mancuso, le piante comunicano e risolvono problemi attraverso un'intelligenza distribuita, basata su segnali chimici ed elettrici che attraversano tutto il loro organismo.
Ecco alcuni esempi affascinanti delle “strategie intelligenti” delle piante, come raccontate da Mancuso:
Allarmi chimici sorprendenti: Immagina un pomodoro sotto attacco, che lancia nell'aria messaggi chimici segreti per mettere in fuga i bruchi. Ma non solo: i pomodori inducono questi bruchi a diventare cannibali tra loro, trasformando il nemico in un alleato... contro se stesso!
Un sistema nervoso sparso: Anche senza cervello, le piante hanno il loro “cervello diffuso”: segnali elettrici viaggiano velocemente lungo le radici e i fusti, orchestrando risposte immediate a stimoli e cambiamenti nell'ambiente, come vere api operaie di un'intelligenza collettiva.
La rete segreta del sottosuolo – Wood Wide Web: Le radici formano una rete sotterranea con funghi amici, scambiandosi risorse, messaggi e aiuti reciproci. Le piante più grandi aiutano le più giovani, quasi come una comunità che condivide informazioni preziose per sopravvivere insieme.
Decisioni da esploratrici: Le radici sono esperte nella ricerca di acqua e nutrienti, sanno scegliere la strada migliore e addirittura riconoscono le proprie simili, per evitare lotte inutili e mantenere l'armonia tra vicine di casa vegetali.
Difesa cooperativa: Le piante non sono passive: si difendono attivamente, collaborano scambiandosi risorse e adottano strategie di protezione sofisticate contro insetti e animali predatori.
Vita sociale alla luce del sole: Alcune piante, come il girasole, mostrano veri comportamenti sociali. Se isolati soffrono e faticano a sopravvivere, segno che la loro esistenza è un gioco di relazioni e scambi.
Inganni floreali per l'amore: Le piante usano trucchi sorprendenti per attirare impollinatori: alcune orchidee, per esempio, si trasformano in piccoli artisti dell'inganno, imitando l'aspetto e il profumo di insetti femmina per attirare i maschi.
Memoria e apprendimento: Le piante ricordano informazioni e imparano dall'esperienza fatta con l'ambiente, adattandosi in modi sorprendenti pur senza avere neuroni.
Trasmissione di saggezza: Le piante mature fungono da antenati saggi, trasmettendo alle nuove generazioni “esperienze” e segnali vitali attraverso le reti di radici e funghi, garantendo così un'eredità di sopravvivenza.
Mancuso invita a proteggere queste straordinarie creature e la loro biodiversità, che rappresentano una risorsa vitale per il nostro futuro. La natura, con le sue "intelligenze verdi", ci insegna a innovare la tecnologia e a costruire un mondo più sostenibile, ispirandoci alle strategie evolute delle piante.
sabato 9 agosto 2025
GUIDO BARBUJANI: SIAMO TUTTI AFRICANI
Guido Barbujani, genetista di fama internazionale nato nel 1955, studia la genetica delle popolazioni e la biologia evoluzionistica, opponendosi al concetto tradizionale di razza umana. È professore ordinario all'Università di Ferrara e ha contribuito a chiarire le origini e la diversità umana grazie all’analisi del DNA antico e moderno.
Nel suo libro e nelle sue conferenze, Barbujani traccia il percorso dall’antica visione creazionista a quella evoluzionistica, dimostrando come l’umanità derivi da antenati africani. Nel contesto paleontologico, sono stati scoperti importanti fossili come l’uomo di Neandertal (Europa) e Homo erectus (Asia), ma Homo sapiens si è evoluto in Africa circa 100.000-200.000 anni fa. Da qui, è partita la migrazione che ha colonizzato il mondo.
Le rotte migratorie fuori dall’Africa sono almeno due e ben documentate: una rotta settentrionale attraverso il Medio Oriente e l’altra meridionale passando per il Corno d’Africa, attraversando il Sud Asia fino all’Australia. I primi esseri umani giunsero in Australia probabilmente tra 65.000 e 50.000 anni fa, affrontando attraversamenti marittimi impegnativi che fanno degli aborigeni australiani tra i primi navigatori della storia. Popolarono progressivamente il continente impiegando migliaia di anni, con uno studio recente che stima circa 6.000 anni per popolare tutta l’Australia partendo dalla regione di Kimberley.
Per quanto riguarda le Americhe, le prime popolazioni umane sono arrivate attraversando probabilmente lo stretto di Bering da Siberia verso Alaska in un periodo tra 20.000 e 15.000 anni fa, probabilmente sfruttando un ponte di terra ora sommerso. Da lì, l’espansione in tutto il continente americano richiese altre migliaia di anni, popolando sia il Nord che il Sud America in un processo graduale e complesso. I tempi e le rotte precise sono ancora oggetto di studi, ma indubbiamente la colonizzazione delle Americhe è stata una delle ultime grandi migrazioni preistoriche.
Barbujani spiega che la genetica moderna ha sfatato il mito delle razze umane biologicamente distinte: il 99,9% del DNA è identico tra tutti gli esseri umani, e la variazione genetica all’interno di qualsiasi gruppo è molto maggiore di quella tra gruppi diversi. Solo una piccola parte delle varianti genetiche è specifica a certe popolazioni, ma queste varianze non supportano l’idea di "razze" separate, bensì evidenziano un continuum geografico di sfumature genetiche.
Sui test del DNA in commercio, Barbujani evidenzia che, sebbene abbiano capacità di indicare alcuni marcatori genetici rari e specifici, la loro scientificità è limitata dal rimescolamento genetico continuo delle popolazioni. Questi test possono fornire indicazioni generiche sulle origini, ma spesso i risultati non coincidono con aspettative storiche o familiari, e la complessità della genetica non consente ancora di tracciare con precisione rigida identità etniche o genealogiche complete. L’interpretazione dei dati deve essere cauta e critica, per evitare malintesi o distorsioni.
Infine, Barbujani illustra la progressione numerica degli antenati nel tempo. Ad esempio, risalendo a circa 300 anni fa (circa 10 generazioni), ogni individuo ha teoricamente 2^10 ossia circa 1.000 antenati diretti, ma di fatto a causa di incroci tra famiglie il numero reale è inferiore. Questo fenomeno amplifica rapidamente la complessità delle origini individuali, mostrando che ognuno di noi è il risultato di una molteplicità di antenati provenienti da diverse popolazioni e luoghi, rinforzando l’idea che le identità biologiche sono complesse e intrecciate.
Un esempio pratico: un numero esponenziale di antenati nel passato remoto evidenzia quanto siamo geneticamente “cosmopoliti” e quanto siano svanite nel tempo le distinzioni rigide tra gruppi umani.