NOTA BENE

NB: alla fine della lista degli aggiornamenti clicca su "MOSTRA ALTRO" (purtroppo scritto in piccolo) e se ne apriranno molti altri

AGGIORNAMENTI AUTOMATICI

Post in evidenza

PARTECIPA AL GRUPPO WHATSAP : PROPOSTE DI CULTURA E EDUCAZIONE (A SANT'ALBINO E SAN DAMIANO)

PER COLTIVARE ASSIEME CULTURA, EDUCAZIONE, FORMAZIONE, MEMORIA, STORIA, STORIA LOCALE, TRADIZIONI...   Segui questo link per entrare nel gru...

Etichette

Etichette

lunedì 18 agosto 2025

ORIGINI DEL DIALETTO MILANESE (E MONZESE) - ETIMI E TOPONIMI DI ORIGINE CELTICA




Il dialetto milanese ha radici linguistiche principalmente nel latino volgare parlato dai Romani in Lombardia, ma presenta un substrato molto marcato di origine celtica. Questo substrato deriva dalle lingue dei popoli gallo-celtici che abitavano l'area prima dell'arrivo dei Romani.

  • Molte parole del dialetto milanese derivano infatti dalle antiche lingue celtiche e galliche, come "ciapà" (prendere), "forest" (selvatico), "bugnòn" (rigonfiamento) e "arént" (vicino).

  • Dal punto di vista fonetico, il milanese conserva suoni particolari come la "ü" e la "ö", che sono influenze tipiche delle lingue gallo-celtiche e che non si trovano nell'italiano standard.

  • Oltre al substrato celtico, il dialetto è stato influenzato dal latino e più tardi da lingue germaniche come il longobardo e il gotico, ma queste influenze non hanno germanizzato il milanese; la struttura rimane soprattutto quella di un idioma romanzo con fondamenta celtiche.

In sintesi, il dialetto milanese è più legato alle lingue celtiche per quanto riguarda il substrato e le caratteristiche fonetiche originarie, mentre la sua struttura grammaticale e lessicale si è sviluppata sul latino volgare con apporti successivi di lingue germaniche. Quindi, pur essendo un dialetto romanzo, conserva un legame linguistico e culturale molto forte con le lingue celtiche antiche presenti in Lombardia prima dei Romani.


Ecco un elenco più completo di parole di origine celtica presenti nel dialetto milanese, raccolte dalle fonti disponibili:

  • arent (vicino, prossimo)

  • bricch (dirupo)

  • bugnón (rigonfiamento, foruncolo, bubbone)

  • ciappà (prendere)

  • garón (coscia)

  • rusca (buccia, corteccia, scorza)

  • aves (polla sorgiva d'acqua)

  • cavagna (cesta)

  • foresta (selvatico, chi viene da fuori)

  • tripillà (irrequieto)

  • brüsèl (Bruxelles, “paese delle fate”)

  • grisù (fuoco, braciere)

  • màder (madre)

  • mèrda (escremento)

  • pas, pàs (passo)

  • rüscèt (roseto)

  • tòr (torre)

  • arimòrtis / arimo (pausa nel gioco)

  • incœu (oggi)

  • pàlta (fango)

  • morigioeù (topolino)

  • loeùva (pannocchia di granoturco)

  • baùscia (gonfiarsi)

  • ganivèll (giovincello)

  • sgnàppa (grappa)

  • busècca (trippa)

  • ragnà (brontolare)

  • tarlùcch (pezzo di legno, duro di comprendonio)

Inoltre, molti toponimi della Lombardia sono di origine celtica, come Milano (Medhelan, “terra sacra in mezzo alla pianura”), Lecco (da leukos, “bosco”) e Brianza (da brig, “area elevata”).


Ecco alcuni toponimi lombardi di Monza e Brianza di origine celtica con la loro etimologia:

  • Brianza: deriva probabilmente dal termine celtico brig che significa "colle" o "altura". Il nome potrebbe riferirsi alle alture della zona o ai Briganti, una tribù celtica collegata al luogo. Il termine si rifà anche alla radice celtica brig (altura), indicando montanari o persone provenienti da alture. Brianza potrebbe anche derivare da un generale celtico Brianteo legato all'occupazione della zona nel VII secolo aC

  • Airuno: da Eburunum (radice celtica non dettagliata nei risultati, ma seguito dell'elencazione di toponimi celtici nella zona)

  • Lambrugo e Carugo: con desinenza in -ugo , tipico dei toponimi di origine celtica in Lombardia

  • I toponimi in -ate (come Arlate, Beverate, Cabiate, Casnate, Novedrate) diffusi in Brianza sono di origine celtica e riflettono caratteristiche fisiche del luogo, come il terreno o la vegetazione

  • Molgora: da celtico MORGA che significa "corso d'acqua" o "confine"

  • Barro: da radice celtica BAR- che significa "rovo, sterpaglia"

Questi esempi mostrano come i toponimi di Monza e Brianza hanno radici celtiche soprattutto legate a caratteristiche fisiche del territorio come alture, corsi d'acqua e vegetazione. Le desinenze come -ate e -ugo segnalano inoltre la diffusione della lingua celtica nell'area.

Ecco alcuni toponimi della Brianza con la loro origine ed etimologia:

  • Brianza: Deriva dal celtico brig (colle, altura). Un'altra ipotesi la collega a Brianteo, un generale delle truppe di Belloveso (VII-V secolo aC), o ai Briganti, tribù celtica della zona. Il termine viene anche associato a "altura" o "sporgenza" da brigantia o brigant- nel celtico, cioè "eminente, ascensore", "abitatore dei monti".

  • Molgora: Corsa d'acqua dal celtico MORGA, che significa "corso d'acqua" o "confine".

  • Adda: Nome preromano, latino Adua, dal greco Adouas, di origine incerta ma probabilmente antica.

  • Lambro: Dal termine celtico LAM-, che indica "palude", ed è un idronimo preromano.

  • Barro: Il nome di un monte, derivato da BAR-, che significa "rovo, sterpaglia".

Altri esempi di suffissi comuni nei nomi dei luoghi in Brianza:

  • -ago : di origine celtica.

  • -ano : da desinenza aggettivale latina -anus/-a/-um, indica proprietà.

  • -asco : potrebbe derivare dal latino -aticus o dal germanico -isch , indicando possesso.

  • -ate : di origine celtica.

  • -engo : da germanico-longobardo, indica appartenenza.

  • Nomi in -sone o -one da celtico “son” che significa palizzata o fortificazione.

  • -usco : potrebbe indicare origine ligure o dall'antico celtico lucus (bosco sacro).

  • Nomi che iniziano con Li- possono ricollegarsi all'antico celto-ligure con significato di "popolo".

Alcuni paesi briantei derivano da caratteristiche ambientali, come Airuno da EBURUNUM (origine celtica).

Questo quadro mostra come la toponomastica della Brianza riflette molte influenze celtiche, preromane, latine e germaniche, legate alla natura del territorio, insediamenti e popolazioni che si sono succedute nel tempo.


Relazione fra le lingue celtiche parlate in Brianza in epoca preromana e altre lingue celtiche

Le lingue celtiche parlate in epoca preromana nella Brianza appartenevano al ceppo del celtico continentale, un ramo delle lingue celtiche derivate dal proto-celtico o celtico comune. In particolare, nella zona della Brianza e in gran parte dell'Italia settentrionale, erano presenti popolazioni celtiche che parlavano vari dialetti del celtico continentale come il gallico e i suoi parenti stretti, come il lepontico.

Le lingue celtiche continentali erano diffuse in un ampio territorio che andava dalla Francia fino all'Italia settentrionale e fino alla Turchia (Galazia), mentre le lingue celtiche insulari, come il gaelico irlandese, scozzese, e il bretone (quest'ultimo arrivato in Bretagna dalla Gran Bretagna), si sono sviluppate in tempi successivi e in regioni distanti come l'Irlanda, la Scozia e la Bretagna in Francia.

Quindi, il celtico parlato in Brianza in epoca preromana è distinto dalle lingue celtiche insulari odierne come il galiziano, il bretone, il gaelico scozzese e l'irlandese, perché appartiene al gruppo delle lingue celtiche continentali, estinte oggi, che erano linguisticamente differenti ma con una radice comune nel proto-celtico. Le lingue insulari si sono sviluppate e separate più tardi e presentano caratteristiche evolutive diverse rispetto al celtico continentale della Brianza.

In sintesi:

  • Il celtico parlato in Brianza era una lingua celtica continentale (come il gallico).

  • Il galiziano è una lingua celtiberica (lingue celtiche della penisola iberica).

  • Il bretone, gaelico scozzese e irlandese appartengono alle lingue celtiche insulari (goidelico e brittonico).

  • Tutte queste lingue derivano dal proto-celtico, ma si sono evolute separatamente in diverse regioni d'Europa.

Questa relazione indica origini comuni ma sviluppi linguistici distinti tra il celtico continentale parlato in Brianza e le lingue celtiche oggi parlate in aree come Irlanda, Scozia, Bretagna e Galizia.



giovedì 14 agosto 2025

ANTONIO GRAMSCI




Antonio Gramsci: vita e ruolo storico

Antonio Gramsci è stato un intellettuale e politico marxista centrale nella storia della sinistra italiana del Novecento. Nato in Sardegna, si trasferì a Torino, dove partecipò attivamente al movimento socialista e contribuì alla fondazione del Partito Comunista d'Italia. Fu protagonista durante il “Biennio Rosso” (1919-1920), fondò il giornale “L'Unità”, venne eletto in Parlamento, ma nel 1926 fu arrestato dal regime fascista. Durante i suoi 11 anni di carcere, scrisse i celebri Quaderni del carcere , testi fondamentali in cui elaborò un'analisi profonda della politica, della cultura e della società. Morì in prigione nel 1937.


Il marxismo secondo Gramsci: rinnovamento e prassi

Gramsci introdusse una rilettura innovativa del marxismo, criticando le interpretazioni “meccanicistiche” che prevedevano una caduta inevitabile del capitalismo e quelle idealistiche del filosofo Benedetto Croce. Per lui il marxismo doveva essere un materialismo “umano e concreto”, fondato sulla prassi — cioè sulle azioni reali degli uomini. non solo in economia, ma anche in politica, cultura e società. La storia è vista da Gramsci come un continuo conflitto sociale e politico, in cui la rivoluzione socialista può rappresentare la soluzione finale.

Un concetto chiave di Gramsci è quello di egemonia culturale : il dominio di una classe sociale non si basa solo sulla forza fisica o repressione (applicata dallo Stato, polizia, esercito: gli “apparati coercitivi”), ma anche su un controllo diffuso di idee, cultura, educazione e media (gli “apparati egemonici”). La lotta per il cambiamento sociale, dunque, è prima di tutto una guerra culturale e intellettuale, una “guerra di posizione” di lunga durata, più complessa e profonda dello scontro frontale (“guerra di movimento”) che caratterizzò la Rivoluzione Russa.

In questo processo il ruolo degli intellettuali organici è fondamentale: essi sono legati alle forze sociali emergenti e devono guidare la battaglia per la conquista dell'egemonia, con il partito comunista che deve diventare un “collettivo intellettuale” per coordinare la trasformazione politica e culturale.


La questione meridionale e la critica al Risorgimento

Gramsci analizzò in modo critico l'unificazione italiana, che per lui fu un'espansione del Piemonte governata dalla borghesia senza realmente coinvolgere le masse contadine meridionali. Questo portò al mancato sviluppo del Sud, aggravato dall'influenza negativa del Vaticano e dalla mancanza di una vera riforma agraria. Criticò il “Partito d'Azione” per non essersi fatto interprete di una rivoluzione “giacobina” e sottolineò la necessità di unire le lotte degli operai del Nord con quelle dei contadini del Sud per sfidare l'egemonia culturale borghese e gli intellettuali conservatori.


Luciano Canfora ei Quaderni del carcere

Lo storico Luciano Canfora ha contribuito a far comprendere la complessità dei Quaderni del carcere , scritti in condizioni di detenzione, sotto stretto controllo fascista. Le opere di Gramsci usano spesso un linguaggio allusivo, richiedendo un'interpretazione attenta ai lettori. Canfora ricorda come la pubblicazione dei Quaderni dopo la liberazione (1945) rappresentò un momento decisivo per la conoscenza del pensiero di Gramsci.


Critica alla democrazia rappresentativa e al voto

In un passo importante del Quaderno 13, Gramsci critica l'idea che nel sistema elettorale “un voto valga uno” e che la maggioranza numerica sia sinonimo di verità o giustizia politica. Per lui, il voto è solo l'ultimo momento di un processo in cui minoranze organizzate e attive modellano l'opinione pubblica e influenzano la società. Le opinioni non nascono in modo libero e spontaneo ma sono elaborate da élite o gruppi di potere.

Questa analisi capovolge la visione tradizionale, evidenziando come il vero problema non sia il voto in sé, ma il peso delle disuguaglianze sociali, economiche e culturali che influenzano l'esito elettorale.


Confronto tra il sistema sovietico e la Costituente italiana

Canfora interpreta il discorso di Gramsci come un confronto tra due modi di concepire la politica: da una parte la democrazia parlamentare occidentale, basata su diritti formali e (teoricamente) uguali per tutti; dall'altra il sistema sovietico, che non si basa su una democrazia formale ma su un diverso tipo di organizzazione che garantisce una partecipazione  sostanziale.

Durante il dibattito per la Costituzione italiana, si discusse se la Repubblica dovesse essere “fondata sul lavoro” (cioè sul valore e sul ruolo del lavoro in generale) oppure “fondata sui lavoratori” (cioè sulle persone che stanno attivamente lavorando). Questa differenza riflette la visione di Gramsci per cui non basta avere diritti sulla carta (essere cittadini legali), ma conta anche la partecipazione concreta alle decisioni politiche.

Riflessioni finali sul potere e la leadership

Canfora sottolinea come Gramsci riconoscesse che ogni Stato è in sostanza una forma di dittatura che richiede una leadership forte. Nel suo articolo “Capo” del 1924, Gramsci analizza criticamente la nomina di Mussolini a capo del governo, ricordando le tensioni e l'inimicizia che Mussolini nutriva nei suoi confronti dall'inizio della sua carriera politica.

In sintesi , Antonio Gramsci ha arricchito il marxismo con un'attenzione nuova alla cultura e alla politica intesa come lotta per il consenso e la leadership morale della società. Il suo pensiero, elaborato nel carcere fascista continua a essere fondamentale per comprendere le dinamiche di potere, cultura e politica non solo in Italia, ma in tutto il mondo.